La cultura popolare napoletana è ricca di usanze e tradizioni folkloristiche; una delle più affascinanti e suggestive è certamente il culto dei morti, che si tramanda da secoli attraverso riti, costumi e persino alcune ricette, tipiche del periodo della Festa di Ognissanti. In questo approfondimento, vediamo quali sono le origini di questa particolare componente del misticismo partenopeo, e come si è sviluppato nel corso dei secoli.
Breve storia del culto dei morti a Napoli
L’origine del culto dei morti si può rintracciare già nella Neapolis greco-romana; in città, infatti, si svolgevano processioni celebrative dedicate ad Ecate, la potente dea che regnava, tra gli altri, sui demoni e sui defunti, protettrice degli incroci, delle strade e dei passaggi. Diffuso soprattutto in Asia Minore, nell’area del Golfo di Napoli il culto di Ecate si lega ad un luogo tradizionalmente associato con il ‘passaggio’ tra il mondo dei vivi e quello dei morti: il Lago d’Averno. Secondo l’antica mitologia italica, infatti, questo specchio d’acqua di origine vulcanica era considerato l’ingresso dell’Oltretomba, nonché dimora di Lucifero. Su una delle rive dell’Averno, inoltre, vi era un boschetto consacrato ad Ecate, dove le persone si recavano per interrogare gli spiriti dei defunti sul proprio futuro.
Il legame tra il mondo dei morti e la città si rinsalda con la comparsa delle prime necropoli (II° – III° sec. a.C.) e prosegue fino al 17° secolo, quando le cave di tufo – ormai abbandonate – che si dipanano nel sottosuolo di Napoli si trasformano in monumentali ossari, in particolare a seguito dell’epidemia di peste del 1656.
La tradizione delle “anime pezzentelle”
È proprio nel periodo della pestilenza che nasce, con tutta probabilità, il caratteristico culto delle “anime pezzentelle”, dette anche “anime purganti”. Durante le epidemie che in passato hanno flagellato la città, infatti, il rapporto con i propri defunti era divenuto più difficoltoso, favorendo la diffusione dell’usanza di ‘adottare’ un’anima ‘pezzentella’. Si trattava dello spirito di un defunto anonimo, associato ad una ‘capuzzella’ (“testolina” in dialetto napoletano), ovvero un teschio custodito in uno degli ossari sotterranei della città. L’idea alla base di questo culto è un reciproco scambio di favori: i vivi, pregando per un’anima pezzentella, ne alleviano le sofferenze e, in cambio, sperano di ricevere favori e buona sorte.
Questa tradizione, che oscilla tra sacro e profano, paganesimo arcaico e profonda religiosità, continua a caratterizzare la cultura partenopea; tornata in auge nell’immediato Secondo dopoguerra, e resiste ancora oggi presso molte famiglie dei quartieri storici. Il più legato al culto dei morti è il Rione Sanità, che ospita il celebre Cimitero delle Fontanelle, un ossario di circa 3.000 metri quadrati riaperto al pubblico dopo gli interventi dei primi anni Duemila.
I luoghi di culto dei morti
Il Cimitero delle Fontanelle è solo uno dei luoghi di Napoli legati indissolubilmente al culto dei morti. Molti altri si trovano in tutta la città, in particolare nel centro storico e nei quartieri più antichi; sul Decumano Maggiore (via dei Tribunali) si trova la piccola Chiesa di Santa Maria del Purgatorio ad Arco, facilmente riconoscibile per i tre teschi posti all’esterno; realizzata in stile barocco, venne commissionata ad inizio Seicento da alcune famiglie nobili per offrire un luogo di sepoltura a poveri e indigenti. La chiesa ospita anche il ‘teschio della principessa Lucia’, incoronato da un velo nuziale.
Sempre al centro storico si trova anche la Chiesa di Santa Luciella, che presenta un ipogeo sotterraneo, un tempo dedicato al culto delle anime pezzentelle. La Basilica di San Pietro ad Aram – che secondo la tradizione custodisce l’ara Petri, ossia l’altare su cui pregò San Pietro durante la sua visita in città – era anch’essa luogo di culto delle anime purganti, per via delle salme che venivano alloggiate nei sotterranei. Infine, nel cuore del quartiere Forcella, sorge la Chiesa di Sant’Agostino alla Zecca, caratterizzata da un fregio con tre teschi e dalla presenza, negli ambienti sotterranei, delle tombe a scolatoio, utilizzate per far drenare i fluidi corporei dei defunti.
Il torrone ‘dei morti’
Al culto dei defunti sono legate anche alcune tradizioni culinarie partenopee; una di queste è la preparazione del torrone dei morti, un dolce a base di cioccolato e nocciole. La ricetta per prepararlo è molto semplice:
- tritare 100 g di cioccolato fondente;
- sciogliere il cioccolato tritato a bagnomaria in un pentolino o in una casseruola con manico, come quella messa in palio dalla raccolta punti di EnergiaAzzurra;
- rivestire uno stampo con il cioccolato fuso, spalmandolo sul fondo e sui lati;
- riporre lo stampo in frigo per almeno 30 minuti;
- sciogliere altri 100 g di cioccolato fondente a bagnomaria;
- versare nello stampo e riporre nuovamente in frigo;
- sciogliere 100 g di cioccolato bianco a bagnomaria; aggiungere crema spalmabile alle nocciole e nocciole intere sgusciate e pelate;
- versare il composto nello stampo rivestito di cioccolato fondente e livellare con una spatola;
- lasciare riposare lo stampo in frigo per almeno 4 o 5 ore; trascorso il tempo necessario, il torrone può essere tolto dallo stampo e servito.