Tra le eccellenze che hanno reso famosa Napoli in Italia (e nel mondo) figura certamente il caffè. Non molti sanno, però, che la celebre bevanda è giunta piuttosto tardi nella città di Partenope, imponendosi nella cultura popolare soltanto nel corso dell’Ottocento. Ciò nonostante, a Napoli il caffè è divenuto parte integrante della cultura e della tradizione popolare, nonché delle abitudini quotidiane di migliaia di napoletani. Anche per questo, chi non ha tempo e modo di fermarsi al bar non disdegna una cialda di caffè Borbone, il giusto compromesso tra tradizione e modernità. Ma dove nasce il culto del cosiddetto ‘oro nero’ a Napoli? Scopriamolo in questo approfondimento.
Le origini del caffé
Si sa ben poco circa la scoperta del caffè e delle sue proprietà. A riguardo esistono diverse leggende; secondo la più diffusa, un monaco etiope decise di provare le bacche di un arbusto sconosciuto che sembravano avere un effetto eccitante sulle capre che le mangiavano. In seguito, le usò per farne un decotto da somministrare ai monaci del suo monastero, che consentiva loro di restare svegli anche durante le funzioni religiose notturne.
Al netto dell’alone leggendario che ancora oggi avvolge la scoperta del caffè, è pacifico che il consumo della bevanda ricavata dalle bacche di questa pianta si è sviluppato in Medio Oriente, per poi propagarsi nel corso dei secoli attraverso il Mediterraneo e l’Europa Continentale.
L’arrivo del caffé in Europa e in Italia
Nel saggio “All about coffee” (1922), William Usker spiega come furono i “viaggiatori che tornavano dall’Estremo Oriente e dal Levante” i primi a far conoscere il caffè agli Europei. Il primato assoluto spetta al medico e botanico tedesco Leonhard Rauwolf, di ritorno da un viaggio di tre anni (1573 – 76) attraverso il Medio Oriente. “Tra le altre” – scrive nel suo resoconto di viaggio – “hanno una bevanda molto buona (gli abitanti di Aleppo, ndr), che chiamano Chaube, che è nera quasi quanto l’inchiostro. […] ne bevono al mattino presto, in luoghi all’aperto, davanti a tutti, in tazze cinesi, più calda che possono”.
Circa un secolo dopo, il consumo di caffè si è già ampiamente diffuso in Italia, come dimostra il saggio del 1671 “Virtù del Kafe”. L’autore descrive il caffè come “bevanda molto praticata in questa mia patria e oggi introdotta in Italia e in altre parti dell’Europa” che “si prende calda assai a sorsi nell’acqua con zuccaro e qualche odore” e si ricava da “bacche ben brustolate, e ridotte in polvere”.
È molto probabile che il caffè abbia raggiunto l’Italia e il resto del Vecchio Continente da Costantinopoli attraverso le rotte commerciali dei mercanti veneziani. Non a caso, secondo Usker, i primi veri caffè nascono proprio in Italia, a Venezia, alla fine del Seicento quando “quasi ogni negozio di Piazza San Marco era un caffè”.
Il caffè a Napoli
Inizialmente, il caffè veniva consumato da marinai e mercanti europei soprattutto come infuso terapeutico. Era consigliato per il mal di stomaco, l’inappetenza ed altri disturbi. Al contempo, divenne una delle bevande analcoliche più apprezzate dall’aristocrazia europea. In altre parole, inizialmente ricchi e poveri bevevano caffè per scopi diversi; lo stesso accadeva anche a Napoli, dove fin dal 17° secolo la bevanda era considerata un toccasana per i convalescenti. Nel 1771, però, la regina consorte Maria Carolina d’Asburgo-Lorena, moglie del Re di Napoli, decise di introdurre il caffè, già ampiamente apprezzato nelle Kaffeehaus viennesi, anche nel Regno delle Due Sicilie, probabilmente offrendolo agli invitati ai balli organizzati alla Reggia di Caserta.
È solo agli inizi dell’Ottocento, però, che il caffè a Napoli diventa davvero ‘popolare’ come bevanda (e non come preparato medicinale). Il merito è soprattutto della cosiddetta cuccumella, ovvero una caffettiera inventata a Parigi nel 1819 da uno stagnino di nome Morize. Questi, sulla scorta di dispositivi simili messi a punto in precedenza, brevettò una caffettiera “reversibile a doppio gocciolamento” (come scrive Usker), dotata di due filtri; il caffè veniva ottenuto facendo filtrare l’acqua calda non bollente attraverso la miscela, dopo aver capovolto la caffettiera. Questo modello divenne talmente popolare a Napoli da prendere il nome di ‘Napoletana’, pur essendo di origine francese. I caffettieri ambulanti che ben presto cominciarono ad affollare i vicoli della città contribuirono a consolidare il rito del caffè, da consumare a colazione o a fine pasto.
Nella prima metà del Novecento, la cuccumella napoletana viene progressivamente rimpiazzata dalla moka Bialetti e, al contempo, cambia anche il modo di degustare la bevanda, soprattutto ai tavoli dei bar. A cavallo tra i due secoli, infatti, viene messo a punto un macchinario che consente di ricavare il caffè tramite percolazione in maniera molto più rapida rispetto alle caffettiere esistenti: nasce così l’espresso. Il merito è dell’inventore torinese Angelo Moriondo, che presenta la sua invenzione all’Esposizione Generale del 1884; pochi anni dopo, Luigi Bezzera applica il principio della percolazione ad alta pressione alla nuova caffettiera Bialetti. Paradossalmente, l’espresso ‘torinese’ è diventato il ‘caffè napoletano’ per antonomasia: denso e cremoso, dal gusto deciso, servito ancora bollente in una candida ‘tazzulella’ rovente.